Cupressus

Divisione: Gymnospermae
Classe: Coniferopsida
Ordine: Coniferales
Famiglia: Cupressaceae
Genere: Cupressus
Specie a dimora: Cupressus arizonica, Cupressus cashmeriana, Cupressus macrocarpaCupressus sempervirens

Dal greco kypàrissos.
Dal latino volgare cypressus
Vi appartengono 20 specie che abitano il Mediterraneo, il Sahara, il Nord-Ovest Americano, preferendo regioni tropicali e subtropicali anche se qualcuna di queste vive nella Cina Centrale.
La famiglia delle Cupressaceae comprende piante sempreverdi con foglie solitamente a forma di scaglie o contrapposte, o in cicli di tre, addossate al rametto perciò poco evidenti.
I galbuli (pseudo frutti) sono generalmente piccoli, rotondi e legnosi. Il cipresso fin dai tempi remoti era simbolo del lutto eterno: già Tucidide riferisce che i guerrieri morti per la patria avevano diritto a bare di cipresso. Durante la peste di Atene, dietro consiglio di Ippocrate, venne bruciata una notevole quantità di questo legno per purificare l’aria dalle esalazioni mortifere. Secondo Ovidio, Cyparissus, era un giovanetto nipote di Ercole e favorito del dio Apollo a cui chiese di morire perché in una battuta di caccia aveva ucciso per sbaglio un cervo. Apollo, impietosito, lo trasformò in un albero nato dalle lacrime del giovane e dal sangue dell’animale.
Questa essenza venne utilizzata per la costruzione della statua di Giove, in Campidoglio, ma anche per la fabbricazione delle casse delle mummie egiziane. Un tempo era pure usato per costruire armadi dove venivano riposte pellicce e vestiti di lana nonché il corredo delle ragazze da marito in quanto aveva proprietà tarmifughe. Oggi invece, è utilizzato per la costruzione di rivestimenti da esterni e per la realizzazione di mobiletti rustici.
Il cipresso è un albero sempreverde dal legno incorruttibile, quindi, rappresenta la continuità della vita dopo la morte. Al riguardo, numerosi autori greci e latini, ci hanno lasciato testimonianze scritte. Per esempio, Pausania, vissuto nel II secolo d. C., ci narra dei boschi di cipressi che crescevano accanto ai santuari (o dentro i recinti sacri) e dei vari riti o feste, che in essi vi si svolgevano. Per questo, ma anche per la sua longevità (2.000 anni) e per la robustezza del suo legno, è stato ulteriormente adottato dalla simbologia cristiana che lo utilizzò, e se ne serve tuttora, per ornare i nostri luoghi di sepoltura. Non ultimo il fatto che a introdurre il Cupressus funebris in Europa (più precisamente, i semi di questa specie vennero inviati in Inghilterra) fu il famoso cercatore di piante, scozzese, R. Fortune. Questo intrepido esploratore lo aveva trovato in Cina (anche se la pianta era stata precedentemente scoperta e descritta) ed essendo un convinto calvinista decise che questa sarebbe stata la pianta adatta ad abbellire e decorare i cimiteri occidentali.
Un’altra testimonianza di autori antichi afferma che i medici orientali, sapendo che le piante di Cipresso purificano l’aria, inviavano certi malati per essere guariti nell’isola di Creta, dove la loro presenza era notevole. Ancora oggi si continuano a sfruttare le proprietà medicinali delle foglie e delle bacche perché ricche di un olio balsamico, ma sappiamo che già le antiche civiltà Assiro Babilonesi (dopo il ritrovamento di iscrizioni) ne facevano uso. Vecchie tradizioni narrano che, per costruire le porte dell’antica basilica di S. Pietro a Roma (si era all’epoca di Costantino nel 307 d. C.), fosse stato utilizzato questo legno e risultassero ancora perfette quando furono sostituite otto secoli più tardi; ma anche i papi venivano sepolti in una prima bara forgiata dal cipresso.
Presso l’Orto botanico dell’Università di Cagliari si possono ammirare superbi esemplari dì questa specie, mentre un individuo di Cupressus dupresiana che ha un’età di ben 2000 anni si trova presso il Parco Nazionale del Tassili, in Algeria.
Un vetusto individuo di Cupressus cashmeriana, considerato il più vecchio d’Europa, si trova a Stresa (Verbania) nel Giardino botanico dell’Isola Madre.


(Testo tratto da
Orto botanico di Ome – Le conifere coltivate – Riconoscimento, storia, mito, leggenda,
di Maria Bianchetti e Antonio De Matola,
Regione Lombardia, Comune di Ome, Comunità Montana del Sebino, 2001)